Glen Duncan: L'alba di Talulla

Tra le nevi dell’Alaska, Talulla Demetriou aspetta come ogni mese la Trasformazione. Lupo mannaro, incinta, in un mondo dominato dai vampiri. Al sorgere della luna piena accade tutto in un attimo: il dolore, il parto, un vetro che si infrange. I suoi nemici storici sono arrivati per sottrarle l’unica cosa che ancora la tiene aggrappata alla vita. Inizia così un inseguimento planetario tra l’Inghilterra, l’Italia e Creta, che porterà Talulla al cospetto del più antico vampiro vivente. Una corsa contro il tempo, insieme a un branco di inattesi alleati, per compiere la sua missione.

La tristezza che t'invade quando, in qualsiasi libreria, ti fermi a guardare lo scaffale riservato all'horror, negli ultimi tempi ha raggiunto dimensioni cosmiche. Sempre che ci sia una parte riservata alla letteratura dell'orrore, sia chiaro! E quando c'è, tutto può dirsi, tranne che si tratta di letteratura. Mi sbilancio se dico che il novantacinque per cento dei libri esposti è spazzatura? Penso proprio di no. Mentre il rimanente cinque per cento è occupato dalle ennesime ristampe di Stephen King e qualche sparuto volume che può essere considerato letteratura horror. L'Alba di Talulla fa parte di quest'ultima minoranza che spero non sia in via d'estinzione. E nell'infinita "depressione caspica" in cui sembra essere ridotta l'editoria di genere nel nostro paese, fa così piacere trovare questo volumetto incastrato tra vampiri pruriginosi e gotico brufoloso che quasi viene da piangere per la commozione.
Un lungo preambolo per dire che il secondo capitolo della trilogia sui licantropi è un bel romanzo che si eleva qualitativamente a dismisura rispetto alle vagonate d'immondizia spacciate per horror nel nostro (ex) bel paese. Dove si ponga, in un ipotetica scala di qualità, rispetto alle altre produzioni d'oltremanica (o oceano), dove il fantastico e l'orrore hanno goduto, godono e godranno di ottima salute, non mi è dato sapere. Qualcuno dice che in quei luoghi la qualità è alta e raggiunge vette che qui non riusciamo neppure a sognare.
Anche fosse un fondo di magazzino, tolto dalla muffa il giorno prima, rispolverato e messo sul mercato abbiamo talmente fame di horror (serio) che con Duncan ci lecchiamo le dita (dal sangue).
Come già nel primo capitolo sangue&sesso (S&S) vanno a braccetto legati insieme da un bel fascio d'interiora. Da qui a dire che lo scrittore inglese sembra un tipo viscerale, il passo è breve. Solo che questa volta la licantropia è tutta al femminile e Duncan è bravo a districarsi nella matassa riuscendo a modellare un ritratto femminino verosimile e non banale. Anzi, oserei dire che scava abbastanza in profondità senza impantanarsi in luoghi comuni o rifornirsi all'outlet della psicologia.
Forse l'unico punto debole è il plot narrativo. Fuga, inseguimenti, colpo di scena, di nuovo fuga, di nuovo inseguimenti e di nuovo colpo di scena. Però è anche vero che è difficile trovare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso. Ci accontentiamo di come Duncan si tolga tutti i peli sulla lingua (ogni tanto abbiamo un grande bisogno di S&S) e non vada tanto per il sottile.
Non ci rimane che attendere con ansia il terzo capitolo sperando che, nel frattempo, qualcuno o qualcosa riesca a calmare i morsi della fame. 

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