Ciao Lou!
Quello che segue è un pezzo che scrissi per Write Up qualche anno fa. Ritengo che illustri alla perfezione l'importanza che hanno per me le canzoni di Lou Reed.
Di solito non pubblico coccodrilli ma questa è un'occasione speciale. Perché le sue canzoni accompagnano la mia vita da quando ero un ragazzino.
Da ieri è come se uno dei tuoi compagni di giochi, uno di quelli più stretti che, dopo merenda, è parte del tuo giro di citofonate, da un giorno all'altro ti dice di non passare più a chiamarlo perché si deve trasferire in un'altra città e non potrete più vedervi.
La sensazione è quella.
Buona fortuna Lou, ovunque tu sia.
Ogni volta che ascolto Perfect Day di Lou Reed la bocca del mio stomaco si chiude. Il nodo alla gola si stringe e mi sembra quasi di non riuscire a respirare. A volte faccio fatica a trattenere le lacrime che se ne stanno lì a galleggiare nei miei occhi aspettando il via per la loro ripida discesa.
Quando le canzoni s’intrecciano ai ricordi, per quanto possano essere belli ogni nota, ogni parola lascia scoperto il cuore. Lo lascia senza difese, facile preda della malinconia o, peggio, della tristezza. Il giorno perfetto non mi fa male, ma mi fa pensare ad un’età ormai lontana, vissuta così velocemente che sembra quasi di non averlo fatto.
Era una tiepida giornata primaverile, uno di quei giorni limpidi, senza nuvole ad adombrare il tepore del sole. Uno di quei giorni in cui non è possibile non stare bene. Ogni pomeriggio, dopo i compiti, si andava al campo da calcio del quartiere a giocare la solita partitella. Eravamo fortunati perché il nostro era l’unico quartiere che possedesse un campo da calcio in cui tutti potevano giocare. Così, solo per il gusto di farlo e non era importante se eri negato, perché un posto in squadra c’era sempre. Partite senza schemi e senza competizione, solo tanta voglia di divertirsi. Il campo era d’erba; erba vera. Il solo calpestarla ti faceva stare bene.
Avevamo l’abitudine di giocare con una grande radio a bordo campo (una di quelle enormi, a doppia cassetta e con l’equalizzatore, che andavano di moda in quegli anni) con il volume a palla. Se c’era la canzone giusta al momento giusto, era davvero uno sballo. Ricordo una lunga corsa sulla fascia con Jump dei Van Halen come colonna sonora. E il cross, con la palla che si alzava e sembrava non scendere più, come se quelle note rendessero quel momento impresso in una moviola lentissima. E l’incocciata del mio compagno a botta sicura. Da estasi. Anche se la palla non andò in rete era stato un momento esaltante.
In quella bella giornata al termine della partita eravamo esausti. La temperatura mite e l’aria frizzante ci avevano indotto a correre più del solito ed ora, stremati, ce ne stavamo sdraiati nell’erba soffice e cercavamo di rifiatare. La musica, come sempre, ci faceva compagnia. Quando il disc jokey annunciò che il prossimo pezzo sarebbe stato Perfect Day di Lou Reed pensai che fosse la canzone adatta a quel momento. Un momento di stanchezza mitigato dalla serenità derivata dall’essersi divertiti. Conoscevo già quella canzone e mi era piaciuta sin dal primo momento. Ho sempre pensato che fosse una di quelle canzoni che non possono non piacere: è perfetta. Così l’avevo messa alla rinfusa, insieme alle molte altre che mi facevano stare bene, nel mio elenco delle canzoni da suonare al mio funerale. Ma quel giorno, in quel momento essa, smise d’essere una delle tante, ma divenne la mia canzone. Guardavo il cielo limpido, colorato da quell’azzurro profondo che sembrava infinito e che è possibile ammirare solo in certi giorni. Non una nuvola deturpava quello spettacolo semplice ma affascinante. Il mio sguardo si perse in quella profondità e i miei pensieri presero il volo.
Hai ragione Lou. Questo è proprio un giorno perfetto.
Non ho fatto nulla di speciale, ma sto bene e sono sereno. In questo momento sono felice.
E dentro di me si fece strada la sensazione che la mia vita sarebbe stata bella.
Perfetta.
Non sarebbe stato facile. Sapevo che ci sarebbero stati momenti duri e difficili, ci sarebbero state delusioni e lacrime, ma mi aspettavano anche gioie e risate.
Avrei amato e sarei stato amato. E anche se la mia vita non sarebbe stata nulla di speciale agli occhi del mondo, alla fine avrei vissuto bene, facendo quello che avrei voluto fare; sarebbe stata la mia vita.
Per quei tre minuti o poco più, fui felice. Una felicità intrisa di speranza, di voglia e gioia di vivere.
Ricordo quel momento come se fosse ora.
Per questo motivo a vent'anni di distanza, ogni volta che Lou canta il suo giorno perfetto, il mio cuore si stringe. Perché, forse, non è andata come quel ragazzino sperava in quella perfetta giornata di primavera. Perché, forse, le scelte sbagliate superano notevolmente quelle giuste. Perché le delusioni e le sofferenze sono state più forti d’ogni altra cosa e non sono riuscito a fare quello che volevo veramente nella mia vita.
O, forse, perché da adulti perdiamo quella spensieratezza che ci fa guardare il cielo e sognare.
Di solito non pubblico coccodrilli ma questa è un'occasione speciale. Perché le sue canzoni accompagnano la mia vita da quando ero un ragazzino.
Da ieri è come se uno dei tuoi compagni di giochi, uno di quelli più stretti che, dopo merenda, è parte del tuo giro di citofonate, da un giorno all'altro ti dice di non passare più a chiamarlo perché si deve trasferire in un'altra città e non potrete più vedervi.
La sensazione è quella.
Buona fortuna Lou, ovunque tu sia.
Il Momento Perfetto
Ogni volta che ascolto Perfect Day di Lou Reed la bocca del mio stomaco si chiude. Il nodo alla gola si stringe e mi sembra quasi di non riuscire a respirare. A volte faccio fatica a trattenere le lacrime che se ne stanno lì a galleggiare nei miei occhi aspettando il via per la loro ripida discesa.
Quando le canzoni s’intrecciano ai ricordi, per quanto possano essere belli ogni nota, ogni parola lascia scoperto il cuore. Lo lascia senza difese, facile preda della malinconia o, peggio, della tristezza. Il giorno perfetto non mi fa male, ma mi fa pensare ad un’età ormai lontana, vissuta così velocemente che sembra quasi di non averlo fatto.
Era una tiepida giornata primaverile, uno di quei giorni limpidi, senza nuvole ad adombrare il tepore del sole. Uno di quei giorni in cui non è possibile non stare bene. Ogni pomeriggio, dopo i compiti, si andava al campo da calcio del quartiere a giocare la solita partitella. Eravamo fortunati perché il nostro era l’unico quartiere che possedesse un campo da calcio in cui tutti potevano giocare. Così, solo per il gusto di farlo e non era importante se eri negato, perché un posto in squadra c’era sempre. Partite senza schemi e senza competizione, solo tanta voglia di divertirsi. Il campo era d’erba; erba vera. Il solo calpestarla ti faceva stare bene.
Avevamo l’abitudine di giocare con una grande radio a bordo campo (una di quelle enormi, a doppia cassetta e con l’equalizzatore, che andavano di moda in quegli anni) con il volume a palla. Se c’era la canzone giusta al momento giusto, era davvero uno sballo. Ricordo una lunga corsa sulla fascia con Jump dei Van Halen come colonna sonora. E il cross, con la palla che si alzava e sembrava non scendere più, come se quelle note rendessero quel momento impresso in una moviola lentissima. E l’incocciata del mio compagno a botta sicura. Da estasi. Anche se la palla non andò in rete era stato un momento esaltante.
In quella bella giornata al termine della partita eravamo esausti. La temperatura mite e l’aria frizzante ci avevano indotto a correre più del solito ed ora, stremati, ce ne stavamo sdraiati nell’erba soffice e cercavamo di rifiatare. La musica, come sempre, ci faceva compagnia. Quando il disc jokey annunciò che il prossimo pezzo sarebbe stato Perfect Day di Lou Reed pensai che fosse la canzone adatta a quel momento. Un momento di stanchezza mitigato dalla serenità derivata dall’essersi divertiti. Conoscevo già quella canzone e mi era piaciuta sin dal primo momento. Ho sempre pensato che fosse una di quelle canzoni che non possono non piacere: è perfetta. Così l’avevo messa alla rinfusa, insieme alle molte altre che mi facevano stare bene, nel mio elenco delle canzoni da suonare al mio funerale. Ma quel giorno, in quel momento essa, smise d’essere una delle tante, ma divenne la mia canzone. Guardavo il cielo limpido, colorato da quell’azzurro profondo che sembrava infinito e che è possibile ammirare solo in certi giorni. Non una nuvola deturpava quello spettacolo semplice ma affascinante. Il mio sguardo si perse in quella profondità e i miei pensieri presero il volo.
Hai ragione Lou. Questo è proprio un giorno perfetto.
Non ho fatto nulla di speciale, ma sto bene e sono sereno. In questo momento sono felice.
E dentro di me si fece strada la sensazione che la mia vita sarebbe stata bella.
Perfetta.
Non sarebbe stato facile. Sapevo che ci sarebbero stati momenti duri e difficili, ci sarebbero state delusioni e lacrime, ma mi aspettavano anche gioie e risate.
Avrei amato e sarei stato amato. E anche se la mia vita non sarebbe stata nulla di speciale agli occhi del mondo, alla fine avrei vissuto bene, facendo quello che avrei voluto fare; sarebbe stata la mia vita.
Per quei tre minuti o poco più, fui felice. Una felicità intrisa di speranza, di voglia e gioia di vivere.
Ricordo quel momento come se fosse ora.
Per questo motivo a vent'anni di distanza, ogni volta che Lou canta il suo giorno perfetto, il mio cuore si stringe. Perché, forse, non è andata come quel ragazzino sperava in quella perfetta giornata di primavera. Perché, forse, le scelte sbagliate superano notevolmente quelle giuste. Perché le delusioni e le sofferenze sono state più forti d’ogni altra cosa e non sono riuscito a fare quello che volevo veramente nella mia vita.
O, forse, perché da adulti perdiamo quella spensieratezza che ci fa guardare il cielo e sognare.
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