6 Novembre 1994
Di solito non scrivo post inerenti alla mia vita privata ma questa volta voglio fare un'eccezione.
Perché ci sono cose che devono essere ricordate. Forse non servirà a niente perché come si dice: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ma bisogna comunque tentare.
Vent'anni fa, il 5 e 6 novembre del 2014 mi trovai per puro caso nel mezzo dell'alluvione che colpì il Piemonte e che causò oltre settanta vittime.
Stavo tornando a casa per una licenza dal Servizio Civile. Era pomeriggio inoltrato e il mio treno che arrivava dalla Liguria era in ritardo di oltre un'ora. La coincidenza che mi aspettava alla stazione di Asti era sicuramente saltata. Avrei dovuto aspettare per un bel po’ prima del prossimo treno.
Nell'oscurità oltre i finestrini, sembrava che al posto dei campi ci fosse solo acqua. Ma era buio e il riflesso delle luci nel vagone impediva di vedere chiaramente. Era comunque un effetto straniante perché sembrava di viaggiare in mezzo al mare. Qualcuno buttò lì un i campi non tengono più l'acqua e la cosa finì lì.
Arrivai alla stazione di Asti, dove appresi che tutti i treni diretti verso Alba erano stati soppressi.
Dalle poche informazioni che riuscii a ottenere, sembrava che alcuni tratti della ferrovia fossero allagati. Brutta storia.
Non essendoci ancora Internet non eravamo informati in tempo reale di quello che stava accadendo, ovvero che il Tanaro stava esondando, bloccando le principali vie di comunicazione.
A un certo punto iniziò un concerto di sirene d’ambulanza e vigili del fuoco che fece aumentare la mia preoccupazione.
Cercai un telefono (i cellulari arrivarono qualche tempo dopo) e chiamai a casa inutilmente. Nessuno rispondeva.
Trascorsi due ore infernali, attaccato al telefono con amici e parenti per avere notizie dei miei genitori
e consumando schede telefoniche come noccioline. Finalmente all'ennesimo tentativo di chiamata a casa, mio padre rispose. Il sollievo fu come se mi avessero sturato lo stomaco con l'idraulico liquido. Mi raccontò che erano rimasti bloccati alle porte di Alba, con l'acqua che superava il cofano dell’automobile. Dopo averla abbandonata, fortunatamente avevano trovato dei ragazzi che, con un fuoristrada, li avevano accompagnati fin sotto casa.
E così mi ritrovai bloccato in stazione, a una cinquantina di chilometri da casa. Tutti i treni erano stati soppressi e almeno fino al giorno dopo non avrei potuto ripartire. Ero indeciso se bivaccare in stazione per poi prendere il primo treno disponibile, oppure cercare una pensione e prendermela comoda. Scelsi la seconda opzione e trovai un alberghetto poco distante.
Non avevo la più pallida idea di quello che stava succedendo.
Fatto il check in (ormai era quasi mezzanotte) mi buttai sul letto, accesi la tv e quello che vidi non fu rassicurante ma vinto dalla stanchezza mi addormentai in breve tempo.
La domenica mattina fui svegliato da un rumore come di pioggia battente. Mi girai dall'altra parte ma poi, ricordando la mia situazione, decisi di alzarmi e di tornare in stazione per prendere il primo treno per Bra. Non esagero quando dico che aprendo le persiane per dare un'occhiata al tempo, rimasi per un paio di minuti con la bocca aperta. Non stava piovendo. Il cielo era nuvoloso ma non cadeva una goccia. Il rumore che riempiva la camera era il rumore dell'acqua che si stava riversando in Piazza Marconi. La piazza non c'era più. Al suo posto c’era un lago. Mi affacciai e guardai verso la stazione. Era completamente allagata. Il personale e qualche viaggiatore si erano rifugiati sul tetto.
Trascorse quasi un'ora prima che l'acqua cessasse di confluire. Il centro città, di solito rumoroso e caotico era avvolto da un silenzio surreale. Quasi assordante.
I vigili del fuoco stavano portando i mezzi anfibi e attrezzando le idrovore per cercare di eliminare la massa d'acqua e fango. Quando le accesero, il rumore anziché essere fastidioso generò uno strano senso di sollievo.
Nel primo pomeriggio l'acqua defluì.
Mi aggregai a una squadra di pallavolo che si trovava in trasferta e alloggiava nella mia stessa
pensione e che aveva deciso di uscire per vedere com'era la situazione.
Attraversammo la piazza colma di fango, mentre chiedevamo notizie a chi incontravamo. La risposta era sempre una e terribile: Il Tanaro, la piena... un disastro. Frasi smozzicate e lasciate cadere a metà. Nel suono della voce e negli sguardi una luce incredula.
Qualcuno disse che Corso Savona era una vera e propria tragedia, che il ponte non c'era più e che il fiume era una furia devastante. Eravamo perplessi. Sembrava come quelle piccole storie che, passando di bocca in bocca, diventano sempre più grandi. Corso Savona non era lontano quindi decidemmo di andare a dare un'occhiata. Era impossibile rendersi conto della situazione, ci si affidava esclusivamente alle voci e al passaparola. Pensavamo di trovare qualche cantina allagata ma quando arrivammo, il terribile spettacolo che si presentò ci lasciò senza parole.
Fango dappertutto, profonde voragini nell'asfalto e binari divelti. Le automobili, trascinate dall'impeto della piena, avevano concluso la loro corsa a ridosso di una grande pianta che aveva resistito alla violenza della corrente e ora giacevano accatastate una sull'altra.
Arrivammo fino al Tanaro e quello che vidi è ancora impresso nella mia mente nonostante sia passato molto tempo.
C'era il mare.
Ma era un mare del colore della terra.
Il letto del fiume non esisteva più. Iniziava a qualche decina di metri da dove ci trovavamo, ma non si riusciva a vedere la sponda opposta. La corrente fortissima generava onde altissime e violente, trascinando di tutto: tronchi, alberi interi, suppellettili, addirittura parti di abitazioni e carcasse di animali. E poi il rumore della furia dell'acqua. Un qualcosa che ho ancora perfettamente in mente ma che mi riesce difficile descrivere. Il rumore dei tronchi che colpivano i piloni del ponte invece riesco a descriverlo bene: sembrava quello di un tuono improvviso.
Di fronte a quello spettacolo tremendo, nessuno parlava. Non c'erano aggettivi per quelle immagini e la loro colonna sonora. Un boato continuo che metteva i brividi.
Tornando indietro, qualcuno disse a bassa voce che se l'inferno avesse avuto un suono sarebbe stato sicuramente quello.
I ricordi di quei giorni si riducono a brevi istantanee impresse nella memoria.
Gli abitanti dei quartieri sfollati che portavano con sé le poche cose necessarie. Qualcuno si fermava ancora un attimo a guardare la propria casa, il frutto di anni di lavoro e sacrifici, devastata nell'arco di poche ore. Con gli occhi umidi e qualche lacrima solitaria riuscita chissà come a scappare, piegando ma non spezzando, il duro orgoglio di piemontesi bogianen.
In occasione di eventi tragici come questo la dualità dell'animo umano emerge con tutte le sue contraddizioni poiché a fronte di atti di altruismo spontaneo e disinteressato si contrappongono tristi gesti come la risata sprezzante del tizio della protezione civile con la divisa immacolata, alla richiesta di poter essere d'aiuto anche solo con una pala in mano oppure la minestrina insipida fatta pagare a peso d'oro.
Fotografie di attimi che il tempo riesce solo a sbiadire ma non a cancellare.
Senza elettricità, la notte trascorse al buio, sporadicamente illuminata dai lampeggianti dei fuoristrada delle forze dell'ordine che pattugliavano la zona e avvertivano di rimanere ai piani alti poiché era prevista un'altra ondata di piena che fortunatamente non arrivò.
Dormire non fu facile.
Riuscii a tornare a casa nel pomeriggio del giorno seguente, approfittando del buon cuore di un autista di pullman che mi diede un passaggio.
Oltre all’immagine del Tanaro trasformato in un Maelstrom, ci sono due cose che, a distanza di vent'anni ricordo ancora molto bene.
Il frastuono dell’acqua e il silenzio delle persone.
Di chi fu costretto ad abbandonare la propria abitazione e delle improvvisate squadre di volontari che spalavano il fango e toglievano i detriti.
Nessuno parlava.
Perché anche le parole erano state portate via dal fiume in piena.
Le fotografie sono state prelevate da Sapori Del Piemonte e dall'Associazione Culturale Asso5A.
Perché ci sono cose che devono essere ricordate. Forse non servirà a niente perché come si dice: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ma bisogna comunque tentare.
Asti - Piazza Marconi |
Stavo tornando a casa per una licenza dal Servizio Civile. Era pomeriggio inoltrato e il mio treno che arrivava dalla Liguria era in ritardo di oltre un'ora. La coincidenza che mi aspettava alla stazione di Asti era sicuramente saltata. Avrei dovuto aspettare per un bel po’ prima del prossimo treno.
Nell'oscurità oltre i finestrini, sembrava che al posto dei campi ci fosse solo acqua. Ma era buio e il riflesso delle luci nel vagone impediva di vedere chiaramente. Era comunque un effetto straniante perché sembrava di viaggiare in mezzo al mare. Qualcuno buttò lì un i campi non tengono più l'acqua e la cosa finì lì.
Arrivai alla stazione di Asti, dove appresi che tutti i treni diretti verso Alba erano stati soppressi.
Dalle poche informazioni che riuscii a ottenere, sembrava che alcuni tratti della ferrovia fossero allagati. Brutta storia.
Non essendoci ancora Internet non eravamo informati in tempo reale di quello che stava accadendo, ovvero che il Tanaro stava esondando, bloccando le principali vie di comunicazione.
A un certo punto iniziò un concerto di sirene d’ambulanza e vigili del fuoco che fece aumentare la mia preoccupazione.
Cercai un telefono (i cellulari arrivarono qualche tempo dopo) e chiamai a casa inutilmente. Nessuno rispondeva.
Trascorsi due ore infernali, attaccato al telefono con amici e parenti per avere notizie dei miei genitori
e consumando schede telefoniche come noccioline. Finalmente all'ennesimo tentativo di chiamata a casa, mio padre rispose. Il sollievo fu come se mi avessero sturato lo stomaco con l'idraulico liquido. Mi raccontò che erano rimasti bloccati alle porte di Alba, con l'acqua che superava il cofano dell’automobile. Dopo averla abbandonata, fortunatamente avevano trovato dei ragazzi che, con un fuoristrada, li avevano accompagnati fin sotto casa.
E così mi ritrovai bloccato in stazione, a una cinquantina di chilometri da casa. Tutti i treni erano stati soppressi e almeno fino al giorno dopo non avrei potuto ripartire. Ero indeciso se bivaccare in stazione per poi prendere il primo treno disponibile, oppure cercare una pensione e prendermela comoda. Scelsi la seconda opzione e trovai un alberghetto poco distante.
Non avevo la più pallida idea di quello che stava succedendo.
Fatto il check in (ormai era quasi mezzanotte) mi buttai sul letto, accesi la tv e quello che vidi non fu rassicurante ma vinto dalla stanchezza mi addormentai in breve tempo.
I Soccorsi Presso la Stazione |
Trascorse quasi un'ora prima che l'acqua cessasse di confluire. Il centro città, di solito rumoroso e caotico era avvolto da un silenzio surreale. Quasi assordante.
I vigili del fuoco stavano portando i mezzi anfibi e attrezzando le idrovore per cercare di eliminare la massa d'acqua e fango. Quando le accesero, il rumore anziché essere fastidioso generò uno strano senso di sollievo.
Nel primo pomeriggio l'acqua defluì.
Mi aggregai a una squadra di pallavolo che si trovava in trasferta e alloggiava nella mia stessa
pensione e che aveva deciso di uscire per vedere com'era la situazione.
Attraversammo la piazza colma di fango, mentre chiedevamo notizie a chi incontravamo. La risposta era sempre una e terribile: Il Tanaro, la piena... un disastro. Frasi smozzicate e lasciate cadere a metà. Nel suono della voce e negli sguardi una luce incredula.
Qualcuno disse che Corso Savona era una vera e propria tragedia, che il ponte non c'era più e che il fiume era una furia devastante. Eravamo perplessi. Sembrava come quelle piccole storie che, passando di bocca in bocca, diventano sempre più grandi. Corso Savona non era lontano quindi decidemmo di andare a dare un'occhiata. Era impossibile rendersi conto della situazione, ci si affidava esclusivamente alle voci e al passaparola. Pensavamo di trovare qualche cantina allagata ma quando arrivammo, il terribile spettacolo che si presentò ci lasciò senza parole.
Asti - Corso Savona |
Arrivammo fino al Tanaro e quello che vidi è ancora impresso nella mia mente nonostante sia passato molto tempo.
C'era il mare.
Ma era un mare del colore della terra.
Il letto del fiume non esisteva più. Iniziava a qualche decina di metri da dove ci trovavamo, ma non si riusciva a vedere la sponda opposta. La corrente fortissima generava onde altissime e violente, trascinando di tutto: tronchi, alberi interi, suppellettili, addirittura parti di abitazioni e carcasse di animali. E poi il rumore della furia dell'acqua. Un qualcosa che ho ancora perfettamente in mente ma che mi riesce difficile descrivere. Il rumore dei tronchi che colpivano i piloni del ponte invece riesco a descriverlo bene: sembrava quello di un tuono improvviso.
Di fronte a quello spettacolo tremendo, nessuno parlava. Non c'erano aggettivi per quelle immagini e la loro colonna sonora. Un boato continuo che metteva i brividi.
Tornando indietro, qualcuno disse a bassa voce che se l'inferno avesse avuto un suono sarebbe stato sicuramente quello.
I ricordi di quei giorni si riducono a brevi istantanee impresse nella memoria.
Gli abitanti dei quartieri sfollati che portavano con sé le poche cose necessarie. Qualcuno si fermava ancora un attimo a guardare la propria casa, il frutto di anni di lavoro e sacrifici, devastata nell'arco di poche ore. Con gli occhi umidi e qualche lacrima solitaria riuscita chissà come a scappare, piegando ma non spezzando, il duro orgoglio di piemontesi bogianen.
Asti - Via Cavour |
Fotografie di attimi che il tempo riesce solo a sbiadire ma non a cancellare.
Senza elettricità, la notte trascorse al buio, sporadicamente illuminata dai lampeggianti dei fuoristrada delle forze dell'ordine che pattugliavano la zona e avvertivano di rimanere ai piani alti poiché era prevista un'altra ondata di piena che fortunatamente non arrivò.
Dormire non fu facile.
Riuscii a tornare a casa nel pomeriggio del giorno seguente, approfittando del buon cuore di un autista di pullman che mi diede un passaggio.
Oltre all’immagine del Tanaro trasformato in un Maelstrom, ci sono due cose che, a distanza di vent'anni ricordo ancora molto bene.
Il frastuono dell’acqua e il silenzio delle persone.
Di chi fu costretto ad abbandonare la propria abitazione e delle improvvisate squadre di volontari che spalavano il fango e toglievano i detriti.
Nessuno parlava.
Perché anche le parole erano state portate via dal fiume in piena.
Le fotografie sono state prelevate da Sapori Del Piemonte e dall'Associazione Culturale Asso5A.
La cosa più interessante è che dopo venti anni a livello di protezione civile siamo ancora allo stesso punto del 1994.
RispondiEliminaE' vero. Se poi ci mettiamo la totale mancanza di prevenzione, l'incuria e la cementificazione selvaggia del territorio si dipinge un quadro desolante. Si piangono i morti e poi si dimentica tutto, fino alla prossima tragedia.
RispondiEliminaGià, ragazzi. Avete proprio ragione! Tante, troppe cose non sono cambìate affatto da allora!!!! Nemmeno quei maledetti sciacalli che in queste disgrazie ci sguazzano.
RispondiEliminaDiego, la domenica mattina quando ho visto in tivù il motoscafo dei vigile del fuoco che attraversava Campo del Palio ho pianto!
La mia città,, quella che conoscevo non c'era più, sommersa dall'acqua e dal fango e al paese dove abito.. niente. Non era rimasto niente! Chi abita in paese perse tutto. Anche i familiari!
@Patricia: non mi vergogno a dire che quando riuscii a tornare a casa scoppiai a piangere, per la tensione accumulata e per lo spavento.
RispondiEliminaAbbiamo un legame profondo con la nostra terra e vederla martoriata e devastata, genera sensazioni difficili da descrivere.
C'era paura, incredulità e sconforto. Ma c'era anche tanta rabbia negli sguardi delle persone. Ma era una rabbia sopita e incanalata verso la determinazione per ripartire e lasciarsi tutto alle spalle.
Adesso, quando purtroppo assistiamo all'ennesima sciagura, quello che vedo è solo tristezza e rassegnazione.
Concludo con una mera considerazione: almeno gli sciacalli ci mettono la faccia e rischiano in prima persona (non li giustifico, per carità), invece i responsabili dello scempio a cui assistiamo quotidianamente e che è la vera causa di simili tragedie, si nascondono dietro al solito scarica barile di ogni responsabilità.
@ Diego
RispondiEliminaAmici miei a Genova mi hanno raccontato che a parte il sindaco Doria che si è preso le sue meritate offese ma che perlomeno ha avuto il coraggio di scendere tra la gente, non si è visto nessuno tra gli assessori comunali e regionali.
E molti tra loro erano gli stessi in carica ai tempi dell' altro alluvione quello del 2011.
@Nick Pensa che alcuni di loro sono stati addirittura premiati, per il loro lavoro attaverso gratifiche professionali. Vedi te!
RispondiEliminaChe aggiungere? Tutto vissuto in prima, primissima persona. All'epoca vivevo ad Asti città e avevo la fortuna di abitare sulla cima di Viale dei Partigiani, quindi sull cima di uno dei bricchi della città. Lavoravo alla Saclà. La domenica mattina mi avevano telefonato dicendo che bisognava mobilitarsi perchè lo stabilimento era stato devastato. Il resto è stato lavoro indefesso, fango e stanchezza. Anch'io ho vivo il ricordo del gommone dei Vigili del Fuoco che attraversava piazza del Palio simile a una enorme bula e la gente incredula in mezzo a noi. L'amarezza più grande è comunque vedere, tanto per cambiare, che il '94 e settanta morti non hanno insegnato niente, come niente aveva insegnato il Vajont. Aveva ragione Pasolini: l'Italia è senza memoria e quindi senza storia.
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