Memorabilia #20

Poteva mancare lo shoegaze? Certo che no, anche se con il genere ammirascarpe il mio è un rapporto difficile e colmo di contrasti. Ci sono cose che adoro e cose che sono (per me) inascoltabili. I My Bloody Valentine, ad esempio, sono tra questi. Con gli Engineers il discorso cambia, forse perché sono più vicini al pop che allo shoegaze duro e puro, forse perché il rumorismo è ridotto ai minimi temini o forse perché si tratta esclusivamente di una questione di buone vibrazioni. Chissà.



Post pubblicato sabato 28 maggio 2005, alle ore 12:25


Engineers 
Engineers

Qualcuno ricorda lo shoegaze? Quello stile musicale fatto di melodie sognanti intarsiate da un sottofondo onirico ricamato da chitarre che sfociavano quasi nel noise e i cui interpreti erano soliti guardare a terra, mentre si esibivano, in una sorta di timidezza o riservatezza (o disprezzo?) nei confronti del pubblico (da qui il termine shoegazer: ammiratori di scarpe)? Genere che trovò negli anni novanta i massimi esponenti nei Ride e nei My Bloody Valentine. Il movimento non è totalmente estinto, ma a livello underground è ancora vitale e ogni tanto genera qualche sorpresa, come i londinesi Engineers. Essi partono sì da quel movimento, alcuni fraseggi di chitarra risentono molto dell’influenza dell’epocale Loveless dei My Bloody Valentine, ma ne rifuggono gli eccessi come la lunghezza delle composizioni e certo rumorismo fuori bersaglio, mantenendosi però ancorati a quella melodia onirica e malinconica che ne caratterizza il mood. Ed è appunto la melodia a regnare incontrastata tra le tracce di questo disco anche se non è una melodia immediatamente accessibile. Specialmente durante i primi ascolti sembra che l’armonia non sia a fuoco, come se fosse solo accennata o nascosta. Una volta scovata, però, essa si rivelerà in tutta la sua magnifica e schietta eloquenza. Le sonorità vocali sono quasi sussurrate come nel miglior stilema shoegazer e poggiano su vortici di chitarra mai assordati o, peggio, ingombranti, che rischierebbero di appesantire un lavoro di non facile fruizione ma innegabilmente affascinante.

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