Vent'anni a Osservare Treni.

Costò una cifra ma ne valse la pena!
Sick Boy era coperto di sudore; tremava tutto. Io me ne stavo lì schiaffato davanti alla tele, cercando di non dargli retta, a quel coglione. Mi buttava giù. Provai a concentrarmi sulla cassetta di Jean-Claude Van Damme. Come in tutti i film del genere, l'inizio era drammatico: era quasi obbligatorio. Poi, nel pezzo che veniva dopo c'era un grande sforzo per creare atmosfera, facendo tra l'altro entrare in scena il cattivo, e per far stare in piedi una trama proprio scacata. Comunque, Jean-Claude sembrava pronto a menare le mani da un momento all'altro.


Nel 1996 uscì Trainspotting, quello che da molti è considerato il capolavoro di Danny Byole. Un regista che avevo già avuto occasione d'apprezzare fin dall'esordio dietro la macchina da presa con quella piccola perla nera che risponde al nome di Piccoli Omicidi Tra Amici.
Il suo secondo film, Trainspotting appunto, è la trasposizione cinematografica di una parte dell'omonimo romanzo di Irvine Welsh, uscito tre anni prima. Già perché, come molti di voi sapranno, non tutto ciò che è narrato nel romanzo è stato riportato nel film. Alcune parti sono state omesse, vuoi per esigenze di copione e di lunghezza, vuoi perché altrimenti il film sarebbe stato decisamente più oltraggioso e forse ancora più osteggiato di quanto sia stato.
A prescindere dal fatto che sia un film che adoro, con una colonna sonora paracula (permettetemi) ma strepitosa, a lui devo il merito di aver scoperto Irvine Welsh, uno di quegli autori da isola deserta. Mi sono spiegato?
Andai a vederlo al cinema colpito, come molti della mia generazione, dal fiume di polemiche riversate dalle solite teste non pensanti che lo accusavano d'istigare i giovani all'uso di droga. Una sorta di apologia del tossico da evitare come la peste.
Immaginate orde di ragazzi uscire dal cinema e riversarsi nelle strade alla ricerca di un pusher.
E qui sorge una domanda sul valore attribuito dalla nostra società ai differenti media. Il libro, più duro, violento e sboccato, non ha mai suscitato alcuna polemica, nonostante fosse in circolazione da tre anni. Esce il film ed ecco servita la controversia.
Vittima anch'io di questa distorta percezione che non fece altro che alimentare il battage pubblicitario, non me lo feci dire due volte e mi fiondai al cinema, sperando in cuor mio di non diventare un tossico.
Non corsi alcun rischio: una pera era l'ultima cosa che avrei voluto farmi dopo aver visto Trainspotting.
Perché oltre al lato divertente delle vicissitudini di quel cazzone di Mark Renton e dei sui sodali, ho sempre trovato questo film intriso di una latente drammaticità. Se da una parte rido ancora a distanza di due decadi al solo vedere Spud, ogni visione mi lascia dentro un (vago) senso d'inquietudine. O forse è solo tristezza, non sono ancora riuscito a capirlo.
La prima volta che lo vidi rimasi quasi scioccato. E con me lo furono i miei amici, uscimmo dal cinema e per un bel po' nessuno parlò.
Fermi un attimo. Non è che fossimo delle suorine in libera uscita. Avevamo visto ben di peggio ma chissà perché, la prima visione di Trainspotting ci privò della parola: eravamo spossati dalla quantità e varietà d'emozioni che Boyle e Welsh avevano saputo vomitarci addosso.
Il substrato d'inquietudine e tristezza l'ho poi incontrato in tutti suoi i romanzi. Mi diverte da matti leggerlo, ma al contempo mi lascia addosso sempre una sensazione di disagio.
Sarà forse perché tutti i suoi personaggi si muovono in un microcosmo abbastanza squallido che, purtroppo si avvicina molto alla realtà?
Comunque sia, poco dopo quella serata rivelatrice, recuperai il romanzo in una costosa edizione Guanda. Un salasso che si rivelò poi essere un vero investimento.
Dovessi riassumerlo in una sola parola sarebbe: delirio. Trainspotting è un vero delirio. Parla di droga ma è lui stesso a essere droga. Quando lo incominci non rieci a staccarti e ne vorresti di più, sempre di più.
Sono trascorsi vent'anni (di già? Ca**o, non ci devo pensare...) e Trainspotting è il libro che ho letto più volte in vita mia. Sono arrivato a quattro e a breve inizierò la quinta rilettura. Mi sembra il modo migliore per festeggiare questo anniversario.

Il film con il suo memorabile incipit
Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?

Commenti

  1. Non l'ho mai visto XD Ma conosco la OST paracula ovviamente! E non ho nemmeno letto il libro... o altro di Welsh :P
    Forse dovrei recuperare?

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    1. Eh! Adesso sono curioso di sapere che ne pensi, quindi recuperalo immantinente!!! ;-) Welsh non è un autore facile anche perché bisogna fare i conti con uno stile particolare, colmo di slang. Non è Coe, ecco!
      Ma è capace di passare dalla più becera e volgare prosa a momenti d'intensità che lasciano davvero di stucco. Poi, io non sono particolarmente attendibile perché non riesco a essere oggettivo nei suoi confronti. Mi piace troppo.

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  2. Quella citazione che hai inserito alla fine quasi mi fa venire il magone per la nostalgia... che gran film! Uno dei più belli di quell'epoca disastrata!. Ricordo che fu per via di quel film che mi venne voglia di visitare la Scozia: volevo capire se era davvero un posto così di merda come lo descrivevano, mi pare, nella scena iniziale. Il film? Visto e rivisto centinaia di volte fino a che quella mia vecchia VHS non ha deciso di incasinarsi il nastro. Il libro? Quello non l'ho mai letto. Non so se lo leggerò.. forse ormai sono fuori tempo massimo.

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    1. L'ho rivisto in questi giorni e non ha perso nulla. E' invecchiato benissimo. Ho anche letto che si farà il sequel sempre con la regia di Boyle e lo stesso cast...mah!
      A me Edinburgo è piaciuta molto e anche Glasgow e Aberdeen non le ho trovate malaccio, le ho visitate qualche anno più tardi. Ma la percezione di un turista non può essere obiettiva. Sia in Trainspotting che in Skag Boys che sto leggendo in questi giorni il ritratto della vita "di tutti i giorni" in Scozia non è affatto lusinghiero.

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