Volevo Fare Lo Scrittore #1
E' giunto il tempo di fare un coming out. Anch'io come molti, sono stato colto dalla velleità di diventare uno scrittore professionista. Molti di noi ci sono passati. Qualcuno ce l'ha fatta, qualcuno sta ancora cercando di diventarlo e qualcun altro, consapevole dei propri limiti o del fatto che sia un territorio un po' inflazionato e che se anche ce la fai non è detto che ci puoi campare, ha deciso di alzare bandiera bianca e accontentarsi del dilettantismo. E quando parlo di dilettantismo lo faccio con l'accezione migliore del termine. Essere dei dilettanti non significa scrivere male.
C'è stato un periodo in cui scrivevo racconti che puntualmente mandavo a case editrici che altrettanto puntualmente ignoravano. Poi sono passato ai concorsi che qualche soddisfazione me l'hanno regalata: un paio di pubblicazioni cartacee e qualche racconto finalista. Non ero più un ragazzino e quindi non è che mi aspettassi chissà che cosa, perciò la discesa dalla nuvoletta del voglio fare lo scrittore non è stata particolarmente traumatica. Poi per pura curiosità, perché scrivere mi piace, mi sono buttato nel magico mondo del giornalismo e per un paio d'anni ho fatto il cronista per un settimanale locale. Un'esperienza a suo modo illuminante, di cui un giorno forse vi parlerò.
In questi giorni, facendo pulizia sul pc, ho riesumato la cartella con tutti i miei racconti. Dopo averne letti un paio, sono giunto alle seguenti considerazioni:
1) Avrei avuto bisogno di un buon editor.
2) Tutto sommato non è che io scriva malaccio, ma la buona scrittura è un'altra cosa.
3) Anche se imperfetti, a volte ingenui o poco riusciti, mi sono costati tempo e neuroni. Perché lasciarli ammuffire in un hard disc?
Quindi ho deciso, con vostro sommo gaudio, di farvi sorbire le mie creature. Non tutte, per carità! Alcuni racconti soprattutto i primi, sono molto imbarazzanti, perciò pubblicherò a rate solo i migliori del lotto. O i meno peggio, fate voi. Così, giusto per farci quattro risate insieme.
Il primo che pubblico è un racconto che scrissi per partecipare a un concorso su John Lennon. Se non ricordo male fu indetto dalla Infinito Edizioni. Mi divertii molto a scriverlo e alla fine non si piazzò nemmeno troppo male. Al di là del risultato, questo racconto è stato comunque importante perché è quello che mi ha dato l'idea di scrivere di musica in maniera diversa. Un'idea che ha regalato belle emozioni nella collaborazione con blog e riviste online, di cui vi parlerò nei prossimi post.
Leggete, siate sinceri e spietati. Perché qui apprezziamo l'onestà intellettuale.
C'è stato un periodo in cui scrivevo racconti che puntualmente mandavo a case editrici che altrettanto puntualmente ignoravano. Poi sono passato ai concorsi che qualche soddisfazione me l'hanno regalata: un paio di pubblicazioni cartacee e qualche racconto finalista. Non ero più un ragazzino e quindi non è che mi aspettassi chissà che cosa, perciò la discesa dalla nuvoletta del voglio fare lo scrittore non è stata particolarmente traumatica. Poi per pura curiosità, perché scrivere mi piace, mi sono buttato nel magico mondo del giornalismo e per un paio d'anni ho fatto il cronista per un settimanale locale. Un'esperienza a suo modo illuminante, di cui un giorno forse vi parlerò.
In questi giorni, facendo pulizia sul pc, ho riesumato la cartella con tutti i miei racconti. Dopo averne letti un paio, sono giunto alle seguenti considerazioni:
1) Avrei avuto bisogno di un buon editor.
2) Tutto sommato non è che io scriva malaccio, ma la buona scrittura è un'altra cosa.
3) Anche se imperfetti, a volte ingenui o poco riusciti, mi sono costati tempo e neuroni. Perché lasciarli ammuffire in un hard disc?
Quindi ho deciso, con vostro sommo gaudio, di farvi sorbire le mie creature. Non tutte, per carità! Alcuni racconti soprattutto i primi, sono molto imbarazzanti, perciò pubblicherò a rate solo i migliori del lotto. O i meno peggio, fate voi. Così, giusto per farci quattro risate insieme.
Il primo che pubblico è un racconto che scrissi per partecipare a un concorso su John Lennon. Se non ricordo male fu indetto dalla Infinito Edizioni. Mi divertii molto a scriverlo e alla fine non si piazzò nemmeno troppo male. Al di là del risultato, questo racconto è stato comunque importante perché è quello che mi ha dato l'idea di scrivere di musica in maniera diversa. Un'idea che ha regalato belle emozioni nella collaborazione con blog e riviste online, di cui vi parlerò nei prossimi post.
Leggete, siate sinceri e spietati. Perché qui apprezziamo l'onestà intellettuale.
Come la luna, le stelle e il sole.
C’era un tempo in cui Luca era un grande appassionato di
musica. Ora quel tempo era finito. Era stato sepolto dalle troppe ferite che la
vita gli aveva inferto. Le canzoni, le sue canzoni, facevano sanguinare queste
ferite impedendo loro di rimarginarsi definitivamente. Ogni disco che ascoltava,
faceva riaffiorare ricordi che pensava ormai sepolti. Ricordi anche belli, ma
ormai coperti dalla patina di polvere che il tempo lascia, incurante nel suo
incedere. Anche i ricordi piacevoli gli appesantivano il cuore perché era
consapevole che quei momenti facevano ormai parte di una vita che non sarebbe
mai tornata. Mai più.
I peggiori erano quelli che riemergevano quando la canzone era parte di quell’amore ormai lontano. E anche se quell’amore si era spento poco alla volta, conscio della sua agonia, il suo ricordo era una lama che si conficcava nel cuore straziandolo nuovamente. L’amore quando finisce, in qualsiasi modo lo faccia, non finisce mai bene anche se c’illudiamo del contrario. La sua fine, pur se consapevole, è sempre dolorosa. Il suo grande amore si era spento da anni cambiando per sempre il suo cuore e la sua vita. Aveva smesso di sognare ad occhi aperti, aveva smesso di sperare che la vita non potesse essere così vuota e che ognuno avesse diritto a più di un’opportunità. Non ci credeva più. Aveva avuto la sua occasione e l’aveva sprecata. Non rimaneva che una fila interminabile di giornate tutte uguali. Troppo uguali. Il vuoto che abitava il suo cuore diventava ogni giorno più opprimente. Aveva anche pensato, più di una volta, di farla finita, di chiudere la porta alla vita chiedendo scusa per il disturbo, ma non aveva mai avuto il coraggio, anche se in certe notti c’era andato terribilmente vicino.
Non rimaneva altro che aspettare. Aspettare che un giorno tutto finisse. Luca aveva cambiato casa e lavoro, perché le cose che da anni condivideva con Lei, ormai non facevano più parte della sua vita. La musica era una passione comune, bella e importante. Lei, quando se n’era andata, gli aveva lasciato tutti i suoi dischi perché non sarebbe più riuscita ad ascoltarli. Aveva ragione. Poco tempo dopo Luca vendette la sua sterminata collezione e, da allora, la sua passione per la musica si era spenta e non ne sentiva la mancanza. Ascoltava pochissima radio e quando le prime note di musica che il suo cuore conosceva fin troppo bene iniziavano a bloccargli la bocca dello stomaco, la spegneva. Il suo quotidiano, lento e monotono, non aveva più colonna sonora. Così era stato, fino a quel lunedì mattina. Si era alzato e, come tutti i giorni, come un automa si era lavato, aveva fatto colazione ascoltando il radio giornale ed era uscito per recarsi in ufficio.
I peggiori erano quelli che riemergevano quando la canzone era parte di quell’amore ormai lontano. E anche se quell’amore si era spento poco alla volta, conscio della sua agonia, il suo ricordo era una lama che si conficcava nel cuore straziandolo nuovamente. L’amore quando finisce, in qualsiasi modo lo faccia, non finisce mai bene anche se c’illudiamo del contrario. La sua fine, pur se consapevole, è sempre dolorosa. Il suo grande amore si era spento da anni cambiando per sempre il suo cuore e la sua vita. Aveva smesso di sognare ad occhi aperti, aveva smesso di sperare che la vita non potesse essere così vuota e che ognuno avesse diritto a più di un’opportunità. Non ci credeva più. Aveva avuto la sua occasione e l’aveva sprecata. Non rimaneva che una fila interminabile di giornate tutte uguali. Troppo uguali. Il vuoto che abitava il suo cuore diventava ogni giorno più opprimente. Aveva anche pensato, più di una volta, di farla finita, di chiudere la porta alla vita chiedendo scusa per il disturbo, ma non aveva mai avuto il coraggio, anche se in certe notti c’era andato terribilmente vicino.
Non rimaneva altro che aspettare. Aspettare che un giorno tutto finisse. Luca aveva cambiato casa e lavoro, perché le cose che da anni condivideva con Lei, ormai non facevano più parte della sua vita. La musica era una passione comune, bella e importante. Lei, quando se n’era andata, gli aveva lasciato tutti i suoi dischi perché non sarebbe più riuscita ad ascoltarli. Aveva ragione. Poco tempo dopo Luca vendette la sua sterminata collezione e, da allora, la sua passione per la musica si era spenta e non ne sentiva la mancanza. Ascoltava pochissima radio e quando le prime note di musica che il suo cuore conosceva fin troppo bene iniziavano a bloccargli la bocca dello stomaco, la spegneva. Il suo quotidiano, lento e monotono, non aveva più colonna sonora. Così era stato, fino a quel lunedì mattina. Si era alzato e, come tutti i giorni, come un automa si era lavato, aveva fatto colazione ascoltando il radio giornale ed era uscito per recarsi in ufficio.
Stava scendendo le scale, quando si ricordò di aver lasciato
la radio accesa. Imprecando contro se stesso per la stupidità di una
dimenticanza che gli avrebbe forse fatto perdere il momento giusto per evitare
il traffico dei pendolari, tornò sui suoi passi salendo gli scalini due a due.
Quando aprì la porta si accorse che la voce di John Lennon aveva invaso
l’appartamento. Luca si bloccò sulla soglia, con la porta aperta, permettendo
alla voce di John di correre lungo le scale. Prima che qualche vicino uscisse
da casa a dirgliene quattro, chiuse la porta dietro di sé e le scale tornarono
silenziose. Non furono le parole di Instant Karma a sconvolgere l’omogeneo
rituale di una mattina uguale a tutte le mattine. Fu quella voce a farlo, a
riportare in vita un incontro che la sua mente aveva messo da parte, buttandolo
alla rinfusa in mezzo chissà quanti altri incontri importanti o meno. John lo
aveva scovato, lo aveva pulito dalla polvere e lo stava porgendo a Luca in
tutta la sua fulgida chiarezza, anche dopo tanti anni.
Era riuscito a salire
sul treno un attimo prima che partisse. Rosso in viso e con il
fiatone, stava cercando un posto libero, senza successo. Lo zaino era pesante e
gli indolenziva la schiena, Le All Star viola che penzolavano, sbattevano su
ogni sedile che incontravano provocando cenni di dissenso e qualche protesta da
parte dei passeggeri più seccati.
Aveva perso la
speranza di viaggiare seduto comodamente quando nell’ultimo vagone vide un
paio di posti liberi. Emise un sospiro sollevato e si diresse verso il sedile
più vicino. Si tolse goffamente lo zaino urtando un uomo intento a leggere
chissà quale libro e che lo apostrofò in malo modo. Luca si profuse
nell’ennesima richiesta di scuse. Non aveva voglia di trascorrere due ore in
compagnia di uno sconosciuto a cui aveva appena rischiato di sbattere in testa
una scarpa, così si allontanò verso l’ultimo posto libero disponibile che
oltretutto era anche vicino al finestrino. Se la compagnia non fosse stata
piacevole, avrebbe almeno potuto guardare il panorama.
--E’ libero quel
posto?
Tre persone alzarono
il capo contemporaneamente. Quelli che sembravano marito e moglie lo guardarono
con aria interrogativa scuotendo il capo.
Luca capì subito che i
due non gradivano la sua presenza. Lo zaino con il sacco a pelo e le scarpe
appese, la maglietta dei Led Zeppelin con qualche buco di troppo e i capelli
lunghi gli conferivano l’aspetto di un hippy fuori tempo massimo dall'aria poco
rassicurante.
--Non penso.
Rispose la donna con
aria poco convinta. Speranzosa del contrario, si voltò verso la ragazza seduta
dirimpetto al sedile vuoto con uno sguardo che era un misto di speranza e supplica.
--No, no! E’ libero.
Disse lei con una voce
squillante che sembrò scuotere l’intero silenzioso vagone.
La donna non fece nulla per nascondere lo sbuffo di disapprovazione.
La donna non fece nulla per nascondere lo sbuffo di disapprovazione.
Luca si sedette dopo
aver faticato non poco a far entrare il suo bagaglio nel giusto spazio.
Mormorò un timido
grazie. Solo la ragazza gli rispose con un sorriso. Quel gesto ebbe su Luca un
effetto devastante. Il cuore si fermò per un istante, prese una lunga rincorsa e,
prima che al povero ragazzo mancasse il fiato, incominciò a correre
all’impazzata. Batteva così forte che sembrava che ogni battito sollevasse la
maglietta. La bocca dello stomaco si chiuse di getto lasciando incastrato il
panino che se stava aspettando di essere digerito e che ora stava pensando di
tornare da dove era venuto. I pori del viso si dilatarono lasciando uscire
timide gocce di sudore che giocavano a rotolare giù dalle tempie e, per non
rimanere lì a fare niente, i capillari delle guance pensarono bene di gonfiarsi
colorando il viso del ragazzo di un bel rosso rubino. Gli sembrava di essere su una nave dal beccheggio insopportabile ed invece era su un treno. Fermo. La fonte del suo mal di mare indossava una maglietta con l’inconfondibile
volto di John Lennon stilizzato in Imagine, una gonnellina a fiorellini rossi
che scendeva fino al ginocchio ed un paio di All Star rosse sulle quali si
posavano i risvolti bianchissimi delle corte calze di cotone. In grembo, le mani coccolavano un cappello di paglia con delle piccole margherite intrecciate
sulla falda. Nel volto brillavano due acute pupille nerissime come i boccoli
che si poggiavano sulle spalle. Tutto questo, però, scompariva di fronte a quel
sorriso. In quel momento Luca pensò che quella fosse la conferma dell’esistenza
di Dio, che una cosa così bella non potesse essere solamente un fortuito frutto
del caso. Dio, però, avrebbe però potuto essere più generoso con lui,
evitando quel brutto naso storto. Probabilmente mentre lo stava disegnando qualcuno
gli aveva dato una gomitata. Cacciò questi pensieri mettendosi a guardare fuori
del finestrino finché il treno si mosse.
L’unico rumore che si
udiva nell’intero vagone era quello delle ruote sulla strada ferrata. La coppia
a fianco ogni tanto si scambiava qualche parola. Luca e la sua dirimpettaia
guardavano fuori del finestrino. A volte il ragazzo la osservava di nascosto ed
ogni volta sentiva il volto andare in fiamme. Durante una di queste volte, i
loro sguardi s’incrociarono.
--Vai al mare?
Chiese lei.
--Eh sì.
Rispose lui
schiarendosi la voce e sapendo di avere il volto completamente rosso per
l’emozione. Quel sorriso gli stava rivolgendo la parola. Voleva parlare e
voleva farlo con lui. Solo con lui. Anche perché era l’unica persona che
aveva davanti.
Si fece coraggio e
continuò la frase.
--Vado a trovare degli
amici e mi fermo per il fine settimana. E tu?
--Anch’io vado al
mare, ma non a divertirmi.
Il sorriso scomparve.
--Mi dispiace. --
Disse Luca.
--Anche a me.
Un’ombra attraversò il
suo viso rattristandolo, ma fu solo un attimo perché la ragazza riprese a
sorridere e disse:
--Vorrà dire che mi divertirò un’altra
volta. Ciao, io sono Sara.
--Piacere, Luca.
Si strinsero la mano.
Luca si sentì
immediatamente più a suo agio. Sentiva che, poco alla volta, il rossore ed il
sudore che si erano accampati sul suo volto stavano sbaraccando ed avevano
deciso di andarsene.
--Vedo che ti
piacciono i Led Zeppelin.
Continuò Sara,
indicando la maglietta del ragazzo.
--E’ uno dei miei
gruppi preferiti. E a te piace Lennon o sbaglio?
--Non sbagli. Adoro i
Beatles ma John in particolare…. E’ difficile da spiegare, è per me una vera e
propria guida. Non solo per le canzoni che trovo tutte stupende, ma anche per
la sua condotta di vita.
Parlando di Lennon i
suoi occhi s’illuminarono emanando un entusiasmo contagioso. Luca ascoltava a
bocca aperta.
--E’ stato uno dei più
grandi artisti di tutti i tempi. Ha composto delle canzoni perfette e ha
vissuto la sua vita al massimo, soprattutto come uomo, con tutte le sue contraddizioni,
i suoi errori, ma anche con le sue scelte significative e la continua ricerca
della pace e dell’amore universale. Era una rock star che si comportava da
uomo, che viveva come un uomo, almeno io l’ho sempre trovato così.
Luca era in estasi.
--Io preferisco i
Beatles al Lennon solista. E, beh, Imagine non può non piacere. E’ una di
quelle canzoni che devono piacere, ma io preferisco di gran lunga Instant
Karma….
In confronto alle
parole di Sara le sue gli sembravano quelle di un bimbo che dice che le
caramelle gommose rosse sono più buone di quelle verdi.
La ragazza aprì ancora
di più gli occhi ed esclamò:
--Davvero? E’ la mia
canzone preferita!
Il ragazzo avrebbe
voluto mettersi a correre lungo i corridoi urlando a squarciagola e agitando le
braccia come se avesse segnato una rete spettacolare e clamorosa nella finale
dei campionati del mondo di calcio.
--La mia non è
un’infatuazione adolescenziale-- Precisò Sara. --Anche perché fisicamente John
non mi piace particolarmente, ho sempre preferito Paul.
Parlava dei suoi idoli
musicali come se stesse parlando degli amici più cari. A Luca fece una gran
tenerezza e questo pensiero gli fece nascere un piccolo sorriso che non sfuggì
agli occhi attenti della sua interlocutrice.
--Perché sorridi?
Pensi che sia stupida?
--No, tutt’altro! E’
che parli di loro come se fossero amici tuoi, come se fossero delle presenze
importanti nella tua vita. Anzi, direi proprio che sono delle persone
importanti, anche se non le conosci e se loro non hanno la benché minima idea della
tua esistenza. Credo che sia una cosa bella.
--E’ il grande potere
degli artisti, dei musicisti in particolare. Riescono ad entrare nella vita di
migliaia di persone e a volte la condizionano o addirittura la cambiano. Se ci
pensi è un potere enorme, che fa quasi paura.
Gli occhi di Sara si
abbassarono un attimo.
--In certi momenti se
non ci fosse la sua musica, non so come farei. Forse è sbagliato aggrapparsi a
delle note.
--Non credo che sia
sbagliato. Anche per me è così. A volte sembra che l’unica cosa che ci rimane
siano quelle canzoni, quasi fossero state composte solo per noi, per farci
stare meglio, per aiutarci o coccolarci nei momenti difficili o anche solo per
farci divertire. L’importante è collocarle nella giusta posizione, non farle
diventare la cosa più importante, ma trasformarle in un mezzo per aiutarci a
raggiungere quello che veramente vogliamo, non perdendo di vista che quello che
veramente conta nella vita sono cose ben più importanti. Sono solo canzoni, ma
aiutano.
In cuor suo Luca si
stupì e non poco di essere riuscito ad articolare una simile frase senza
impappinarsi o esibirsi in elucubrazioni senza senso alcuno.
--Hai perfettamente
ragione. Cavoli, se hai ragione.
E così parlarono per
oltre un’ora, quasi esclusivamente di musica. Gli altri passeggeri sembravano
essere scomparsi nel nulla. In quel vagone, in quel momento, esistevano solo i
due ragazzi. E più il tempo passava, più i due entravano in sintonia, le parole
uscivano belle e leggere e gli occhi erano sempre fissi gli uni negli altri.
Il treno si fermò
nell’ennesima stazione.
--Cavoli, siamo già
arrivati! Io scendo qui. La tua è stata davvero una compagnia piacevole,
grazie.
Squillò Sara, mentre
prendeva il suo zaino e si avviava verso l’uscita.
Luca ebbe un attimo
d’esitazione, poi si alzò, prese il suo bagaglio facendolo quasi crollare in
testa all’uomo seduto al suo fianco.
--Scusi!
Non attese la riposta
e seguì la ragazza.
--Anch’io scendo qui.
Il treno ripartì
fragorosamente, mentre i due ragazzi uscivano dalla stazione in un silenzio che
fu rotto dal saluto di Sara.
--Mi ha fatto molto
piacere conoscerti, Luca.
--Anche a me.
Il cuore di Luca
s’intristì improvvisamente. Abbassò per un attimo lo sguardo e, quando lo
rialzò, gli occhi di lei lo penetrarono fino in fondo all’anima. A Luca quello
sguardo sembrò inequivocabile, ma forse era solo una sua impressione. Lei gli
porse la mano. Lui gliela strinse. Restarono qualche secondo così poi, come se
il destino avesse deciso che il momento richiedeva un segno tangibile per cementare
nei ricordi un incontro inaspettato ma bello, si abbracciarono.
--Ciao!
--Ciao!
Luca osservò Sara
allontanarsi.
Gli occhi umidi
urlavano quello che il suo cuore gli sussurrava: non l’avrebbe rivista mai più.
Il ragazzo entrò nella
sala d’attesa odiandosi per non averle chiesto nemmeno il numero di telefono.
Gli rimanevano un nome e l’immagine di un sorriso stupendo.
Si sedette ad
aspettare.
Dopo un paio d’ore
sarebbe passato il treno che l’avrebbe portato alla giusta destinazione.
Quel giorno Luca non andò in ufficio. Telefonò dicendo che
si sentiva poco bene, andò a comprare una raccolta di canzoni di Lennon e guidò
tutto il giorno senza fermarsi mai, con la sua voce a tenergli compagnia. Da
quanto tempo non lo faceva. E John gli parlava, gli diceva che è bello poter
credere in zucche che si trasformano in principesse e in ranocchi che diventano
principi, che è bello poter credere che la luna ci sorrida, quando ci
affrettiamo a rincasare prima che batta la mezzanotte. E chi se ne frega se la
gente dice che siamo strani, ridendo alle nostre spalle, solo perché sogniamo
ad occhi aperti o c’imbamboliamo guardando una ruota che gira con i pensieri
chissà dove. Gli diceva che non ci sono problemi, ma solo soluzioni e non che
non bisogna avere fretta, mai. E che un giorno tutto splenderà, come la luna,
le stelle e il sole. Perché ogni giorno non è mai uguale all’altro e può
capitare che un incontro inaspettato renda quel giorno speciale o sconvolga in
meglio la tua vita.
Quella notte il letto sembrava più caldo e accogliente.
Nell’oscurità in Luca stava nuovamente nascendo il desiderio di ascoltare
musica. Altra musica, tanta musica.
Si addormentò con un lieve sorriso sulle labbra e, dopo
molti anni, ricominciò a sognare.
Commento per adesso l'intro del post XD Ma ripasserò dopo aver letto col tempo dovuto e con attenzione il racconto!
RispondiEliminaMi sono resa conto che tra i miei blogger preferiti, che seguo non solo per tematiche che mi possono interessare personalmente ma anche per sintonia, molti scrivono. Ma proprio tanti! :O
Io sono una fortunata, immune al virus XD Non ho mai pensato alla Scrittura, sono una lettrice invece. A scapito della trama mi ritrovo a tagliare brani, sostituire parole, notare le occorrenze eccessive di parole "particolari", analizzare stile e annotare tutto quel che non so (per lo più tutto questo avviene mentalmente XD).
Tutto ciò porta grandi vantaggi, ma anche una certa spietatezza che non mi fa leggere in modo differente (morbido o altro) le opere di "chi conosco" XD
Trattare con lo Scrittore è molto ma molto ma molto difficile! Il livello zero corrisponde alla necessità di dire cosa non è piaciuto o non funziona senza infastidire, offendere o passare per stronzi. Da qui si sviluppano una serie di successivi stadi. Per esempio, io spesso scrivo: non tutti possono essere un Tolstoj e se leggo un esordiente sarei folle a dare un giudizio non tenendo conto di ciò. Cosa che è presa malamente e in almeno due accezioni: - mi stai dicendo che non sono un genio? (sì)
- non è giusto, un libro va giudicato in base a una scala di valore (vabbuò).
Da quando per il blog scrivo su libri e autori non famosi/pompati dalle solite CE/self-publisher mi (ci siamo) sono resa conto che non esiste IL panorama editoriale. Occorre fare qualche sforzo in più, da parte di tutti.
A dopo, per opinioni... al limite: Ban Ban Ban! XD
Al contrario io mi lascio trasportare dalla trama che mi assorbe completamente e, salvo sviste clamorose dell'autore e dell'editor, raramente riesco a vedere le cose che non vanno. Per un'analisi più "lucida" dovrei rileggere almeno una seconda volta.
EliminaIl tuo modo di leggere ti rende spietata? E' proprio quello che dev'essere un buon editor, a mio avviso. Per questo ho detto che saresti ottima in quel ruolo.
Nel mio piccolo ho notato che con gli "artisti" è difficile trattare. Se i musicisti sono abbastanza permalosi sul loro operato, l'ego degli scrittori è quacosa di ENORME! :-) E' difficilissimo non offenderli. Purtroppo l'editor deve fare i conti con questa mancanza di umiltà che gioverebbe molto soprattutto alla parte chiamata in causa.
Utilizzare due pesi e due misure quando di scrive di editoria non è possibile, come dici giustamente. Non posso valutare un autore navigato, con un esosrdiente oppure un professionista con un dilettante. Non avrebbe senso. Come non ha senso parlare di un unicum editoriale che abbracci tutto e tutti. La realtà è ben diversa e le CE non è che aiutino...
Appena ho un attimo risponderò con la giusta calma al tuo interessante (as usual) commento. Ma due cosine veloci le dico già:
RispondiElimina1) saresti un'ottima editor
2) non ho mai bannato nessuno. In passato mi hanno dato del coglione, scrivicazzate e del il solito che non capisce un cazzo. Figuriamoci se banno chi esprime un giudizio duro ma circostanziato. Come ho scritto nel post è roba per sorridere, una specie di com'eravamo! Vacci giù pesante!
Non posso andarci giù pesante XD
EliminaDevi sapere che ho passato l'adolescenza in compagnia di Lennon e che io sono anche quelle ore passate ad ascoltare la sua musica. Una delle mie canzoni della vita è Watching the wheels e mi sembrava di "leggerla" nel tuo racconto :D E ogni volta che l'ascolto... eh! XD
Quindi capirai che son poco lucida, questo racconto mi tocca profondamente, perché è proprio come dici: basta una canzone, quella giusta e si ritrovano energie vitali che tre minuti prima si pensavano impossibili.
E mentre scrivo mi son messa a riascoltare la canzone citata, passando adesso a Mind games...
Provo a formulare qualche pensiero sul racconto: l'introduzione secondo me può essere resa più fluida, sopprimendo qualche ripetizione, nel complesso è molto carino, ci sono alcune buone suggestioni ed è davvero molto evocativo (come ha detto il buon Max qui sotto).
Mannaggia a te XD Ora faccio l'alba con John! XD (sulle note di Instant Karma, adesso!)
E questa sarebbe la Glò spietatissima? Io lo sono molto più di te, specialmente con me stesso. :-)
EliminaIn primis grazie per i complimenti davvero (troppo) generosi.
Sui difetti hai ragione su tutto. Se teniamo da parte il fattore emotivo, di cui parlerò in un post perché leggendo i commenti i miei neuroni hanno elaborato un interessate postulato, tecnicamente il racconto mi sembra molto carente, sia come punteggiatura che come ridondanze. A rileggerlo, dopo svariati anni, ho fatto fatica. Lo trovo farraginoso, trovo che non "scorra" come dovrebbe; come se fosse in un pantano e non riuscisse a muoversi, non so se mi sono spiegato...
PS: Secondo me puoi fare di meglio in quanto a cattiveria, eh eh eh!
Beh, la spietatezza è scomparsa per colpa di Lennon XD
EliminaPer me esageri molto col giudizio: basta una revisione "consapevole". L'effetto che percepisci penso sia anche normale, per quanto detto e per la distanza nel tempo. Però val la pena rimaneggiarlo.
Diego, non so se lo sai ma per me prima di tutto vengono i Beatles. Poi tutto il resto. Quindi, voglio dire, figurati se... :)))
RispondiEliminaEppure, ti prego, tei prego ti prego ti prego, non avercela con me, ma per leggere questo racconto dovrò fare un enorme sforzo, sai perché? Perché è un "blocco unico". Cioè, in realtà è "tre blocchi", ma credimi, leggere su schermo (qualsiasi schermo) blocchi così grossi senza spazi è durissima, gli occhi partono per chissà dove e ogni volta devi trovare la riga. O forse càpita a me perché sono anziano (no, in realtà a parte le mie solite e sfinenti "battute" sulla mia età, è vero che leggere "blocchi" a video è difficile per chiunque, vecchio/a o giovane...).
Quindi ti chiedo, se puoi, se vuoi, se hai tempo, se lo ritieni opportuno, come favore personale, se puoi metter mano e dividere i tre "blocconi" in blocchini più piccoli... Mi odii adesso? :(((
Però guarda la differenza qui sotto...
Ti abbraccio. Orlando
Diego, non so se lo sai ma per me prima di tutto vengono i Beatles. Poi tutto il resto. Quindi, voglio dire, figurati se... :)))
EliminaEppure, ti prego, tei prego ti prego ti prego, non avercela con me, ma per leggere questo racconto dovrò fare un enorme sforzo, sai perché? Perché è un "blocco unico". Cioè, in realtà è "tre blocchi", ma credimi, leggere su schermo (qualsiasi schermo) blocchi così grossi senza spazi è durissima, gli occhi partono per chissà dove e ogni volta devi trovare la riga.
O forse càpita a me perché sono anziano (no, in realtà a parte le mie solite e sfinenti "battute" sulla mia età, è vero che leggere "blocchi" a video è difficile per chiunque, vecchio/a o giovane...).
Quindi ti chiedo, se puoi, se vuoi, se hai tempo, se lo ritieni opportuno, come favore personale, se puoi metter mano e dividere i tre "blocconi" in blocchini più piccoli... Mi odii adesso? :(((
Però guarda la differenza qui sotto...
Ti abbraccio. Orlando
Non ti odio! Anche perché hai ragione, mandando il post via mail il testo perde tutta la formattazione. Ho rimediato almeno un po'. Non è il massimo ma almeno è leggibile.
EliminaCosa devo dirti? Ho letto tutto con molta attenzione. Ti dico già che io non faccio mai valutazioni stilistiche e strutturali sul lavoro degli altri: perché non è giusto e perché non ho le competenze.
RispondiEliminaQuello che posso segnalare è la gran voglia di raccontare, l'afflato nell'esporre. Il racconto è molto evocativo. Tanto basta. Come tutti noi sei uno che ama scrivere, questo è il valore aggiunto. Uuuuh tanto "sciato" e tante giustificazioni nel presentare il tuo racconto?
Hai fatto bene, sei stato bravo. C'è da lavorare su alcune immagini ridondanti, ma vale per tutti, io sono il gran capo dei ridondanti. Lascio ad altri le disquisizioni più tecniche, io guardo alle emozioni.
In conclusione la lettura è stata piacevole. Bravo Diego.
Grazie Massimiliano, mi fa piacere che ti sia piaciuto. Anche se, per il tema trattato, ho voluto "vincere facile". :-)
EliminaTu, con molta umiltà (merce rara di 'sti tempi) dici di non avere le competenze per commentare tecnicamente il pezzo, ma da neofita e non conoscitore della materia mi chiedo: tu sei un autore giusto? E quindi chi, meglio di un autore, possiede le competenze per poter "giudicare"? Un Critico, un Editor oppure il Lettore?
La mia ritrosia iniziale era dovuta al fatto che sono estremamente critico nei miei confronti e come ho detto a Glò, non sono soddisfatto del risultato ottenuto. Mi piaceva condividere questa cosa perché, quando lo scrissi pensavo di aver partorito lo Stand By Me in miniatura del nuovo millennio. Riletto anni dopo e con occhio decisamente più oggettivo l'effetto e tutt'altro.
Grazie ancora per i complimenti!
Grazie infinite per avermi accontentato Diego :)
RispondiEliminaInstant Karma è anche la mia canzone preferita di John-senza-Beatles.
Un abbraccio.
Instant Karma è una droga.
EliminaNemmeno io sono un editor, quello che posso dire è che da lettore, il tuo racconto tocca alcune corde giuste nel mio animo come ad esempio il senso di disillusione del tuo protagonista ad inizio racconto. Il mio consiglio è: perché non provo a riscrivere il testo seguendo le tue attuali sensazioni e conoscenze della scrittura?
RispondiEliminaProvaci, secondo me ne verrebbe fuori una cosa interessante.
Grazie Nick!
EliminaEffettivamente sarebbe interessante riscriverlo e vedere cosa ne esce. Qualche anno d'esperienza in più c'è e con qualche limatina lo si renderebbe potabile. Ho scritto questo post non per scroccare un editing ;-), per carità, anche perché le mie velleità di scrittore sono finite nel bidone dell'umido anni fa, ma per una bizzarra idea che ho avuto su un paio di post sulla sulla percezione che l'autore ha di quello che scrive e sull'importanza di un occhio esterno, scevro da coinvolgimenti emotivi, per un'analisi oggettiva del testo.